ACCADEMIA DEL GUSTO
LA SPEZIA 2006

 

LABORATORIO di STUDI e RICERCHE
a cura di Elisabetta Mazzoccola Niccolai

 

L’ “Accademia del gusto” una scuola per imparare

L’eroe greco Acadèmo diede il nome di Akademia a una piccola zona a nord di Atene, dove Ipparco, dopo averla circondata da mura e arricchita da alberi bellissimi tra i quali i platani e gli olivi, istituì un ginnasio. Questo luogo divenne inseguito la sede della scuola filosofica di Platone. 

Per estensione il nome è venuto lentamente ad indicare istituzioni intese al progresso delle arti, delle scienze e delle lettere.

E il gusto? Il gusto è innanzi tutto il senso, con sede nella lingua e nel palato, che ci permette di apprendere i sapori, di distinguere quelli buoni da  quelli cattivi, di provare soddisfazione e piacere nel sentirli finemente.

Pertanto “l’Accademia del gusto” è la Scuola per imparare  a conoscere i sapori, a saperli distinguere e valutare, per arrivare a esaltarli nelle varie combinazioni.

Il “buongustaio” arriverà  a definire il gusto di un piatto, distinguendo le varie sfumature tra un gusto fine, delicato, ottimo, che opporrà al gusto grossolano, cattivo o al disgusto

Ma il gusto è anche l’affinamento del giudizio del bello nell’arte, nella natura, nel vestire, così“l’Accademia del gusto” si prefigge anche la cura della tavola e della presentazione dei piatti per il piacere della vista, dell’ambientazione del locale e della sua atmosfera.

Il percorso per arrivare ad una “ buona degustazione” in senso lato è lungo e occorre modestia per imparare, costanza nello studio, buona capacità di osservazione e di giudizio.

Per quel che riguarda il gusto in cucina, si può iniziare con piatti semplici, perché un alimento genuino con ingredienti ben dosati, poco lavorati riuscirà a farci conoscere i sapori essenziali, a esaltarne le qualità e ad apprezzarne le caratteristiche.

Pensiamo a quante sensazioni gustative vengono distinte dal palato in una fetta di buon pane casereccio irrorato di olio extravergine d’oliva  e insaporito da un pizzico di sale e da alcune gocce d’aceto.

Certo, l’esperienza avvezza il palato alla combinazione di sapori antichi, conosciuti   nelle cucine familiari con quelli nuovi importati da cucine straniere con ingredienti diversi.

Il risultato a volte è ottimo.

Ma questa è un’altra strada, sicuramente interessante ed emozionante.

“L’Accademia del gusto”  vuole addentrarsi nello studio dei sapori tradizionali della nostra cucina, per formare dei “buongustai” cioè dei ricercatori dei sapori essenziali e delle loro combinazioni.

Quei sapori che sono immagazzinati nel nostro inconscio e che affiorano insieme  ad una miriade di sensazioni e di ricordi, quando uno dei nostri sensi sollecitato ce li riporta alla memoria.

Così, il profumo della mentuccia sfregata con le dita e la sensazione di ruvido delle foglie carnose e pelose degli zucchini riportano alla memoria la freschezza del semplice piatto di zucchini tagliati a fette sottili e lunghe, fritti, conditi con olio extravergine d’oliva ed insaporiti con mentuccia e alcune gocce di aceto.

Allo scopo di apprezzare il sapore essenziale di un prodotto e la combinazione di questo con altri sapori che lo esaltano, la signora Gigliola propone due ricette semplicissime. Sicuramente sono originarie del Sud Italia, dove la coltivazione dei peperoni e delle melanzane è di ottima qualità e dove vengono impiegati ingredienti stuzzichevoli con accurata mescolanza. 

Non passa estate che la signora Gigliola non faccia per i suoi amici una cena preparando questi piatti molto gustosi nella loro semplicità di esecuzione: le melanzane alla parmigiana e il tortino di peperoni. 

Si devono scegliere delle melanzane di forma allungata, di un bel colore violaceo e ben sode, che, una volta pulite con un canovaccio umido, vengono poi tagliate a fette sottili secondo la lunghezza e messe sotto sale. Dopo qualche ora, avendo lasciato la loro acqua amarognola, sono fritte, senza essere infarinate.

Quindi si mettono nella teglia a strati con passata di pomodoro , abbondante  parmigiano e foglie di basilico. Null’altro. Nel forno a 180° fino a cottura. 

Questo è un piatto profumato e molto saporito, che esalta il gusto di ogni componente in modo equilibrato – dice la signora Gigliola, che ama però molto anche il tortino di peperoni.

Anche per questo piatto la scelta della verdura è essenziale.

 I peperoni devono essere freschi, ben sodi, sani e di un bel colore giallo.

Vengono abbrustoliti sul fornello a gas o elettrico, poi spellati e puliti con un canovaccio umido, quindi tagliati a listarelle sottili.

Nel frattempo si tritano finemente olive nere, capperi, origano e pane grattugiato e si mescola il tutto con olio extravergine d’oliva. Questo composto deve ricoprire uno  di peperoni, messo in teglia e poi semmai un altro. 

Quindi in forno a 180° fino a cottura che rende il pane grattugiato dorato

Questi due piatti possono essere di contorno ad un buon roast beef.

E la signora Gigliola conclude dicendo che oltre gustare il sapore si deve godere il profumo e il colore di questi piatti..  

 

Il Gusto in Estetica

 

Nei tempi antichi, il termine “gusto” compare in espressioni di linguaggio corrente col significato di “piacere” o “diletto” ed in modo più profondo, di “giudizio sull’arte”.

Solo nel Seicento comincia a diventare oggetto di riflessione critica sull’arte con lo scopo di distinguere il “bello” dal “brutto” o per definire la maniera di operare di ogni artista.

Nel 1708 Roger de Piles sviluppa il concetto di “maniera” parlando di un gusto proprio alla natura e alle inclinazioni di ogni artista, di un gusto basato sull’educazione e lo studio delle opere dei maestri del passato ed infine di un gusto comune ad ogni nazione con determinate caratteristiche stilistiche.

Leibniz, sul finir del secolo, intende il gusto come qualcosa di  naturale da avvicinare all’istinto e che perciò va educato ed esercitato sotto la guida della ragione e dell’esperienza.

Da questi primi significati prende le mosse la riflessione settecentesca che farà del gusto uno dei temi più importanti del dibattito estetico durante tutto il secolo.

Si assiste così, ad una querelle tra due importanti correnti: quella francese e quella inglese.

La prima insiste sul carattere oggettivo del gusto del bello, secondo il quale il gusto diventa perfetto quando riesce a sentire il punto di perfezione della natura e dell’arte.

La filosofia inglese matura, per contro, una concezione soggettiva del bello che viene percepito dalla  coscienza di ciascun individuo.

Il bello esiste solo in rapporto al gusto di ogni singolo uomo che lo coglie e lo definisce.

Il discorso si fa poi più articolato, quando si intende il gusto come qualcosa di naturale e comune a tutti gli uomini e il “buon gusto” come qualcosa di educato dalla pratica e dalla cultura, operante sia in campo estetico che morale.

Secondo il principio fondamentale per cui la bellezza è verità e bene, il gusto viene a coincidere con il “senso comune”, inteso come ragione.

Gli interventi dei filosofi inglesi allontanano sempre più il gusto dai canoni prestabiliti e dalle norme prefissate a priori. Si arriva a definire il gusto come facoltà dell’anima che accomuna la bellezza col piacere e i difetti con l’avversione: il rapporto dell’individuo con l’oggetto diventa fondamento del giudizio del gusto. Siamo al soggettivismo.

Altri saggi affronteranno analiticamente tutti gli aspetti della questione con sottili distinzioni sia in rapporto alle diverse maniere di cogliere il bello, sia con l’identificare il buon gusto non solo in campo estetico, ma anche in riferimento alla condotta morale dei singoli individui.

Un posto di rilievo spetta al saggio di Hume “La regola del gusto” del 1757.

L’interesse dell’autore è indirizzato a trovare il fondamento del giudizio estetico, quella regola che, nella grande varietà di opinioni, consente l’accordo tra gli uomini. 

Negata l’esistenza  di “ a priori” cui riferirsi, egli afferma che la bellezza non è una qualità delle cose in se stesse, ma esiste  solo nella mente di chi le contempla e sostiene che la ragione, pur non essendo parte essenziale del gusto, ne permette la operatività.

Il “ gusto retto” si identifica con “intelletto sano”. La vera regola del gusto sarà nell’unione di un forte buon senso con dei sentimenti educati dalla pratica e liberati da ogni pregiudizio.

La pratica del gusto sul comportamento sociale dell’individuo e la stretta relazione tra buon gusto e buon senso configurano un ideale umano nuovo.

Nell’ambito dell’Illuminismo francese la questione viene sviluppata da Voltaire  nel suo articolo sul gusto inserito nell’Enciclopedia. Egli definisce il gusto come “sensibilità” alla bellezza e ai difetti in tutte le arti, distingue tra buono e cattivo gusto secondo i principi del razionalismo.

Anche per lui il “gusto depravato” è una malattia dello spirito, tanto che in quei paesi in cui non c’è stato un adeguato sviluppo intellettuale, il gusto non può operare.

Anche Montesquieu  scrive per l’’Enciclopedia un articolo in cui esamina i vari piaceri dell’anima che sono oggetto del gusto. Dal gusto naturale proprio di ogni uomo egli distingue un gusto acquisito mediante la pratica e l’educazione, istituendo tra i due momenti una relazione continua.

 Con Kant il termine assume un rilievo filosofico particolare. La definizione più sintetica che il filosofo da è quella di “facoltà di giudicare il bello”.L’universalità del gusto sta nella comunicabilità della sensazione estetica, che è il principio che rende possibile la comunicazione del piacere e del dispiacere solo mediante il sentimento. Inoltre il gusto viene inteso da Kant come senso di educazione e disciplina, momento di chiarezza e di ordine nella massa dei pensieri.

Dopo questa lunga critica delle concezioni soggettivistiche, il gusto perde la sua centralità nell’ambito della teorizzazione estetica.

Con Croce nel 1902 il gusto torna ad essere “attività giudicatrice”, che occorre al critico dell’arte insieme a un po’ della genialità dell’artista, come all’artista occorre il gusto.
Un’altra definizione particolare è quella di Lionello Venturi, che nel suo libro  “Il gusto dei primitivi”, del 1926 concepisce il gusto come il complesso di scelte che l’artista opera all’interno della propria cultura e in rapporto alla tradizione e ai suoi contemporanei.

La storia dell’arte consiste quindi nell’indagare i rapporti e le reciproche reazioni tra arte e gusto in ciascun artista.

Un ulteriore intervento è quello di Dorfles nel 1958, che si propone di indagare sui rapporti tra pubblico ed arte contemporanea, individuando nel gusto un fattore    psicologico-estetico differente in ciascun strato socio-culturale.

I nuovi indirizzi della critica contemporanea mettono in risalto l’importanza del rapporto tra l’artista, l’opera, il pubblico e lo sviluppo delle comunicazioni di massa, con i problemi connessi alla  fruizione  dell’arte e agli strumenti e alle  istituzioni che gestiscono queste fruizioni.

Nell’attuale periodo storico, il termine gusto  assume così nuove e più vaste implicazioni culturali e sociali ben al di là  delle problematiche filosofiche del passato.


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