ACCADEMIA
DEL GUSTO LA SPEZIA 2006 |
Sapori e saperi
Liceo Mazzini e Accademia del gusto
UNA LEZIONE PRATICA
PER I MUSCOLI RIPIENI
Con una lezione pratica sui “muscoli ripieni”, tenuta al ristorante “La
nuova Spezia” in viale Amendola, si è chiuso il primo ciclo del
“progetto cibo” del liceo sociopedagogico Giuseppe Mazzini. La parte
pratica è stata curata dall’Accademia del gusto. Le ragazze delle tre
terze si sono particolarmente interessate agli ingredienti e alla
manualità dello chef Gianni De Lisi, nell’amalgamare e riempire i
“muscoli” che come si sa non bisogna far rompere il neretto del guscio.
I muscoli provenienti dallo stabulatore di San Teresa in pochissimo
tempo si sono trasformati in bocconcini prelibati. Alcune ragazze, oltre
a porre domande, hanno partecipato attivamente alla preparazione. Le
insegnanti, Gabriella Raschi e Daria Cacace e gli esperti dell’Accademia
del gusto, Elisabetta Mazzoccola Niccolai, Franco Carozza e il
presidente Giuseppe Celeste, si sono alternati nella descrizione di
particolari inediti riguardando la storia della mitilicoltura e
all’utilizzo dei “muscoli”, come vengono chiamati alla Spezia, in
tantissime ricette.
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Durante l’incontro abbiamo chiesto alle insegnanti quale è stato il percorso che hanno scelto. “Ci siamo soffermati parecchio sulle ricette e gli usi alimentari del Medioevo – ha risposto la professoressa Raschi - cercando un più intenso legame con il nostro territorio. Abbiamo così visto che cosa significa mangiare di magro e mangiare di grasso (mercoledì, venerdì proibizione delle carni, sabato anche in quanto vigilia e come in tutti gli altri giorni prefestivi vi era la prescrizione del digiuno e dell’astinenza), abbiamo visto anche la gerarchia dei cibi cioè come la selvaggina e i volatili (i cibi alti) erano considerati più nobili, come le verdure e i cibi che vengono dalla terra più umili e destinati agli umili. Abbiamo esaminato anche le conseguenze che queste scelte ebbero, come l’alimentazione potesse essere in molte situazioni riequilibrata e come le carestie e la peste potessero invece rovinare ogni equilibrio per decenni”.
“Certo - risponde la Raschi - abbiamo letto la condanna del peccato della gola
in Dante e abbiamo visto il ritratto che di Dante fa Boccaccio alludendo anche
al suo rapporto con il cibo. In questo contesto si sono inseriti gli incontri
precedenti che ci hanno portato alla conoscenza del Raviolo, un cibo millenario,
raffinato e ricco ma di origini umili e semplici. Abbiamo letto novelle del
Boccaccio come quella di Chichibio che ci hanno riconfermato nella visione che
il Medioevo aveva della gerarchia dei cibi, per cui la gru arrosto è cibo
invidiato e bramato. La nuova abbondanza del Trecento prima della peste è quasi
il preludio dell’esplosione di gusti e di sapori del Rinascimento anche se
permanevano sacche di gravissima miseria (come testimonia il Ruzzante) e se
venivano rigorosamente rispettati i precetti sul digiuno e l’astinenza”. |
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Alla professoressa Daria Cacace abbiamo fatto questa domanda: l’Accademia del gusto difende molto i piatti della tradizione e i prodotti locali, a cominciare dalle torte e agli odori. Che ruolo avevano le torte nel passato. “Le torte ripiene sono state uno dei piatti di maggior successo nel medioevo, sempre presenti e sicuramente preparate e consumate in tutti gli strati sociali della popolazione. I termini per indicare la vivanda erano molti ('pastello', cioè 'pasticcio', 'crosta', 'torta', 'crostata' ecc.), ma i metodi di preparazione molto simili. La diffusione delle torte era dovuta a diversi fattori, tra i quali l'ampia gamma di soluzioni offerte nella confezione del ripieno con tutto ciò che era disponibile in casa o reperibile sul mercato e la possibilità della vivanda di essere consumata in giorni di grasso e di magro. I ripieni sono stati in ogni caso fondamentali nella cucina medioevale e lo rimasero nel Rinascimento, nella nostra terra divennero la base di partenza per varie e ricche preparazioni. Il nostro territorio è rimasto sempre lontano dalla fame nera e mortale di certe aree del Nord Italia, ma anche lontano dall’abbondanza di Firenze, ha sempre dovuto mantenersi con una agricoltura povera e la pesca, racchiuso tra i monti e il mare, un popolo poco propenso a grandi novità ma capace di far tesoro delle erbe e degli aromi, capace di conservare pesce carni in vario modo.
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