ACCADEMIA
DEL GUSTO LA SPEZIA 2006 |
Sapori e saperi
LA CUCINA
SENZA QUALCOSA
La cucina senza
qualcosa smembra l’armonia del gusto.
Cuoco, medico e letterato si confrontano ma partendo da posizioni diverse.
di Franco Carozza
La tendenza di molti nutrizionisti che di volta in volta si affacciano sulle scene dell’informazione, è quella di eliminare sempre qualcosa dal piatto. Tutto questo perché quel prodotto fa male, o perché lo ritengono superfluo. A questi si aggiungono cuochi improvvisati che tendono sempre a distruggere i piatti della tradizione per reinventarne altri. Senza voler scomodare i padri della gastronomia, ricordiamo che non sono mai mancati gli attacchi per denigrare la pastasciutta, il vino, i grassi animali, il sale, l’olio d’oliva, il burro, lo zucchero, i salumi. E’ stato così nel passato e lo sarà ancora in futuro. Il cuoco, il medico e il letterato continueranno a confrontarsi ma sempre partendo da posizioni diverse. Qui non parliamo di inappetenti o di cagionevoli di salute, ma di cibo di qualità. Chi si siede a tavola, per degustare un piatto di bucatini alla cipolla, un risotto alla milanese, un carpaccio di merluzzo o le triglie alle olive, sa come sono importanti alcuni elementi come la cipolla, lo zafferano, le olive, l’olio extravergine, il peperoncino o particolari odori. Il bombardamento è quotidiano e tutto questo coincide con le festività, con l’arrivo della primavera o dell’estate, o con qualche scoperta della medicina che ha addentellati con il sovrappeso. Noi vogliamo invece parlare di buon cibo, di piatti di qualità, di amore e passione per i prodotti genuini che madre natura ci ha dato così copiosi. Stare a tavola è un piacere, è un fatto di gusti, di cultura, di storia, di attaccamento alla propria terra. Nel piatto deve esserci armonia, la stessa che c’è in un quadro o in un’opera sinfonica. Oggi purtroppo siamo tornati all’artificio e alla mescolanza dei sapori. Tutto viene frullato e rivisitato. Si eliminano degli ingredienti e questo rompe l’equilibrio dei sapori. Pensate ad una semplice insalata. Da ogni parte arriva un bombardamento di consigli: poco sale, alcune gocce di limone, poco olio. Ma questa è un’insalata, o un cibo per erbivori. Per avere un’ottima insalata occorrono, è vero, buone erbe di stagione ma poi ci vuole il giusto condimento. I maestri di cucina ricordano il detto sempre attuale: “ ben salata, poco aceto e ben oliata”. Importanti anche tutte le fasi di preparazione. L’insalata va pulita, lavata, asciugata e poi salata e oleata. L’aceto si aggiunge dopo la prima mescolatura e quindi con delicatezza si rimescola.
Ma come facciamo a dimostrare tutto questo ai “paninari” o a coloro che professano il culto del piatto veloce. La risposta dovrebbe essere semplice: con gli esempi, col lavoro costante, con la partecipazione attiva al dibattito culturale. Ma forse tutto questo non basta. Dobbiamo riaffermare che la tavola ancora oggi è il motore della vita. Questo motore va alimentato con i cibi che sappiamo apprezzare. Non serve che un piatto sia per forza sostanzioso o ingombrante ma comunque deve essere capace di trasmettere quel sentimento di piacere, di delizia, di amore. Sentimento che può venire anche da un piatto che è stato cucinato con ingredienti leggeri. Pensate ad una zuppa di verdure, ad un brodetto delicato di pesce, fatto con quello che normalmente il pescatore scarta, con gli odori, il vino bianco, l’olio extravergine d’oliva e pane casereccio. Quanti profumi in questi piatti. Piatti che si definiscono di recupero, ma che hanno nel loro insieme una varietà di sapori e tutta l’energia del piacere. Lo stesso possiamo dire per i formaggi, molti sconsigliati dai trattati di dietetica, e che invece col tempo sono entrati nel novero dei piatti nobili, al punto da essere inseriti tra gli alimenti prestigiosi e desiderabili.
Nessun predica gli eccessi, ma deve essere chiaro che gli ingredienti che abbiamo memorizzato nel tempo, sono indispensabili, perché formano una comunione di sapori che per tradizione, per formazione del gusto, non possono essere scissi. E’ quello che comunemente si dice una sinfonia di sapori.
E ’ quello che accade anche in un’opera musicale. Lo spartito è unico, ma l’autore, se crede, può dare una sua interpretazione. Resta pur sempre una sua interpretazione. Sta poi al pubblico apprezzarla o rifiutarla. E nelle prime musicali, non è raro sentire dal loggione fragorosi fischi in direzione anche dei grandi maestri che hanno osato tradire lo spartito. Nel momento attuale si tende troppo a valorizzare una cucina di fantasia, che si basa sui frullati, sulla confusione dei gusti, che si discosta dai sapori dei prodotti del territorio e che non ha nessun punto di riferimento. Il gusto viene accantonato e ci si affida completamente all’estro del cuoco, alla regia dell’animatore o del caposala. Questo mangiare, non lascerà tracce nei manuali di cucina perché è legato alla fantasia sfuggente di quell’attimo, irripetibile nel tempo. L’armonia del piatto è invece l’opposto della confusione. |
Per questo motivo i piatti basati solo sulla creatività non stimolano il gusto, il desiderio, il piacere. Bisogna quindi riportare al centro del desiderio il gusto, che non tradisce mai. Il gusto è conoscenza della materia prima, è il saper distinguere ciò che è buono e che piace, da ciò che non è buono e non piace. E’ la mente, prima ancora della lingua che valuta e giudica. Il gusto, come è stato ormai accertato, non è un qualcosa di soggettivo e di incomunicabile, ma una conoscenza condivisa e collettiva. Si forma e si memorizza negli anni. E’ il frutto di esperienze che ci vengono trasmesse fin da quando cominciamo ad assaporare le prime pappe. Di qui il piacere per i farinacei, per i cereali, per il sale e per il dolce. Col passare degli anni si memorizzano altri sapori e in estrema sintesi anche l’agro-dolce sulla selvaggina, crea un’alleanza di sapori ben riuscita.
Persino i nomi dei prodotti vengono travisati. I bocconi del nonno, lo stufato della zia, il baccalà alla Ernesto, sono solo specchietti per le allodole e ci fanno perdere di vista il cibo e i prodotti naturali. La gastronomia purtroppo sta subendo trasformazioni radicali. Il piatto non nasce più dalle mani esperte di cuochi o di massaie, per deliziare gli invitati o per alleviare i morsi della fame, ma serve per sbalordire o soddisfare la curiosità dei telespettatori o dei lettori.
Il pesce freschissimo viene così sacrificato con intingoli di peperoni rossi o col formaggio al forno; salmone, rucola, lardo e aceto balsamico riempiono le pagine dei menù. La confusione è tanta da farci dimenticare che l’identità di un piatto è il frutto della storia e che nel passato gli aggiustamenti ci sono stati ma hanno seguito i ritmi lenti dell’evoluzione della società. Oggi si corre troppo, ed una ricetta storpiata arriva, anche via Internet, subito sulle nostre tavole. Il compito degli “accademici” è quindi arduo. Dobbiamo continuare a difendere le identità locali e i prodotti di nicchia, con tutti i loro ingredienti, perché è l’unico modo per salvaguardare e far vivere i piatti della tradizione, quelli che sono radicati al territorio, che hanno una storia consolidata alle spalle. Quando all’estero si parla di spaghetti, di pizza, di pesto, è come parlare della cultura italiana. Sostenere che siamo conosciuti più per questi prodotti che per Dante, Petrarca o Colombo, non è una eresia.